A Hollywood è ufficialmente scoppiata la mania del biopic. Storie di grandi personalità – protagonisti della musica, del cinema, della scienza e della storia – vengono portate sul grande e piccolo schermo per incantare il pubblico, ma anche per stimolare riflessioni profonde partendo dalle vite di figure che hanno lasciato un’impronta indelebile nel loro tempo.
Il biographical motion picture, o più semplicemente biopic, gode ormai da anni di ottima salute. La biografia, del resto, è sempre stata una fonte inesauribile d’ispirazione per il cinema. Tuttavia, mentre in passato prevaleva un approccio celebrativo, oggi si predilige una narrazione più stratificata, che utilizza le vite dei protagonisti non solo per raccontare la loro grandezza, ma anche per affrontare temi universali e, talvolta, controversi.
Il genere affonda le sue radici nel 1927, con l’uscita di Napoleon di Abel Gance, un’opera monumentale che celebrava la genialità fuori dal comune del celebre condottiero francese. Tuttavia, il biopic contemporaneo è sempre meno interessato alla semplice narrazione di un’esistenza e più incline a utilizzare la vita dei personaggi come lente per esplorare le complessità dell’animo umano e le contraddizioni della società. Per gli sceneggiatori, il compito si rivela particolarmente arduo: il sottile equilibrio tra finzione e realtà, narrazione e storia, richiede una maestria rara. Se è già complesso adattare un romanzo, ancor più impegnativo è portare sullo schermo una vita vera, con tutto il carico di aspettative che ne deriva.
Negli ultimi anni, la lista dei biopic di rilievo si è allungata considerevolmente, con titoli come Priscilla, Ferrari, Napoleone, Maestro, Oppenheimer, Jeanne du Barry, Elvis, Blonde, Corsagee House of Gucci. Questa tendenza, se da un lato può essere interpretata come segnale di una certa saturazione creativa da parte dell’industria cinematografica, dall’altro testimonia l’incredibile vitalità di un genere che, nonostante i suoi manierismi, continua a sedurre tanto i cineasti quanto il pubblico.
Il successo del genere
Il successo del biopic negli ultimi anni risiede nella sua capacità di intrecciare intrattenimento, narrazione epica e riflessione collettiva. I registi sfruttano la dimensione pedagogica delle figure storiche, utilizzandole come specchio per i valori, le contraddizioni e le ambizioni del nostro tempo.
Ad attrarre il pubblico sono anche le sofisticate tecniche narrative che rendono queste storie particolarmente avvincenti: la biografia a ritroso, i frequenti flashback e la rappresentazione di personalità complesse, spesso in contrasto con l’immagine pubblica consolidata. Ciò che affascina non è tanto la cronologia degli eventi, quanto i momenti decisivi che hanno trasformato questi personaggi in icone. Il pubblico vuole conoscere non solo i successi, ma anche le fragilità e i fallimenti che li hanno definiti.
Nel 2024, ad esempio, uno dei film più attesi è stato Back to Black, regia di Sam Taylor-Johnson, sulla vita della nota cantante inglese Amy Winehouse. Per quanto tutti negli anni 2000 fossero ammaliati dal talento straordinario della giovane cantante, ad oggi è difficile non ricordare anche la sua dipendenza dalle droghe, causa della sua prematura morte. Il pubblico è accorso nelle sale per conoscere meglio questo lato di Amy: tramite il suo biopic ci si immedesima nel personaggio e ci si rende conto di quanto, dietro la fama, spesso si nasconda anche tanta solitudine e insicurezza.
Lo stesso vale per i biopic su Elvis e Priscilla, che approfondiscono non solo la carriera del “re del rock” e la sua tumultuosa relazione con la moglie, ma anche i lati oscuri delle loro vite, come l’abuso di sostanze e le dinamiche di potere nella loro relazione.
I biopic ci mostrano talvolta una vita diversa da come ce la immaginiamo. È il caso di Monsters, la serie che ruota attorno la storia di Lyle ed Erik Menendez, condannati all’ergastolo nel 1990 per aver ucciso i loro genitori.
È interessante come la serie sia riuscita a influenzare l’opinione del pubblico che per oltre 30 anni li ha accreditati come spietati assassini. Se da una parte li mostra come bugiardi patologici, dall’altra fornisce un punto di vista diverso da cui emergono abusi mentali e fisici che quei giovani ragazzi hanno subito sin da bambini. Questo fa sì che si crei nello spettatore un sentimento di empatia nei loro confronti, che giustifica in qualche modo le loro azioni.
La mania per la vita dei cantanti
Negli ultimi anni, i biopic musicali hanno conosciuto un successo straordinario, riportando sotto i riflettori le vite di icone che hanno segnato intere generazioni. Bohemian Rhapsody ha aperto la strada nel 2018, riportando i Queen sotto i riflettori e dimostrando quanto possa essere coinvolgente, emozionante e storicamente necessario, il racconto di chi ha scritto la storia e stravolto il mondo con la propria arte.
Questo filone ha visto un’esplosione di titoli: Jeremy Allen White, pluripremiato Carmine Berzatto di ‘The Bear’, interpreterà Bruce Springsteen nella pellicola ‘Deliver Me from Nowhere’ – titolo omonimo del libro di Warren Zanes – scritta e diretta da Scott Cooper, lo stesso di ‘Crazy Hearts’ (2009). L’attore si calerà nei panni del Boss ai tempi in cui doveva registrare il suo sesto album, ‘Nebraska’ (1982), lo stesso che la rivista Rolling Stones ha messo al 150esimo posto nella lista dei 500 dischi migliori di sempre. Siamo nel periodo subito prima di ‘Born in the U.S.A’, la leggenda del cantautore e chitarrista di Long Branch sta ormai nascendo e per Allen White, dopo che ha vinto Emmy, SAG Awards, Critics’ Choice Awards e Golden Globe per il cuoco di Chicago nella serie Disney, questa potrebbe essere un’opportunità per conquistare anche l’Academy.
Timothee Chalamet diventa Bob Dylan. L’attore ha finito di girare A Complete Unknowndi James Mangold. Jeans modello Levis, giacca scamosciata, sciarpa, berretto: nelle prime foto trapelate dal set, la star è perfettamente calato nella parte di un giovane Bob Dylan all’alba degli Anni 60, appena trasferitosi a New York dal Minnesota. Il film parlerà di un “ragazzo con 16 dollari in tasca che fa l’autostop fino a New York per incontrare Woody Guthrie, che è in ospedale e sta morendo. Gli canta una canzone e fa amicizia con Pete Seeger, che è come un figlio per Woody, e Pete lo porta con sé nei club dove incontra Joan Baez e tutti gli altri personaggi di quell’universo”, ha raccontato lo stesso regista. Chalamet, reduce dal successo di due pellicole divenute prime in classifica nel giro di otto mesi, ‘Wonka’ e ‘Dune – Parte Due’, ha raggiunto a soli 28 anni un record prima detenuto solo da John Travolta: questo successo si è già tradotto nella firma di un contratto pluriennale con la Warner, che lo vedrà sia protagonista sia produttore di molti lavori.
L’entusiasmo del pubblico per queste produzioni è evidente dai risultati al box office. Basta guardare l’incasso al box office di Bob Marley: One Love’, con Kingsley Ben-Adir che interpreta il mito del reggae: uscito il 14 febbraio 2024 nelle sale, in un mese e mezzo ha incassato oltre 170 milioni di dollari in tutto il mondo, nonostante alcune recensioni tiepide. Questo successo dimostra che, pur di vedere il proprio idolo al cinema, la gente è disposta a soprassedere sui dettagli qualitativi e imperfezioni.
Tra i progetti più ambiziosi figura Michaeldi Antoine Fuqua. Michael Jackson, la più grande popstar di tutti i tempi, rivive sul grande schermo attraverso l’interpretazione del nipote Jaafar Jackson, 28 anni, figlio di Jermain Jackson, ovvero il fratello di Michael e membro originario dei Jackson 5. Nelle foto rubate dal set di Los Angeles Jaafar, al suo debutto cinematografico, assomiglia incredibilmente allo zio Michael, che invece Juliano Krue Valdi, 9 anni, interpreta nella versione giovanissima. Nel cast ancora Colman Domingo e Nia Long nei panni dei capofamiglia Joe e Katherine Jackson, Miles Teller in quelli dell’avvocato e consigliere John Branca, Larenz Tate in quelli del fondatore della Motown Records Berry Gordy e Kat Graham in veste di Diana Ross. Musica e palcoscenico ma anche crisi e debolezze, e le accuse di molestie su minori: la promessa è che in ‘Michael‘ non verrà lasciato indietro niente. L’uscita è prevista per l’8 aprile 2025, in Italia dovrebbe arrivare dieci giorni dopo, il 18 aprile.
A dare il via al 2025 c’è Angelina Jolie, che è diventata la soprano Maria Callas nel film diretto da Pablo Lorraìn. Il regista ha già firmato diverse biografie cinematografiche di donne come ‘Jackie’ (2016, Natalie Portman è Jacqueline Kennedy) e ‘Spencer’ (2021, Kirsten Stewart è la principessa Diana). Nel cast di ‘Maria’ spiccano anche tre big del cinema italiano, Pierfrancesco Favino, Valeria Golino e Alba Rohrwacher.
Un approccio decisamente più sperimentale è quello di Better Man, il biopic su Robbie Williams diretto da Michael Gracey. Curiosamente, il cantante è interpretato da uno scimpanzé, scelta che riflette la visione autoironica di Williams, il quale si percepisce come “un po’ meno evoluto” rispetto agli altri. Il film esplora la sua carriera, dall’esordio con i Take That ai successi da solista, passando per le lotte personali contro dipendenze e problemi di salute mentale.
C’è poi Daisy Edgar-Jones (‘Normal People) che ha firmato con la Sony per interpretare Carole King nell’adattamento dello spettacolo teatrale ‘Beautiful: The Carol King Musical’.
E non dimentichiamo l’impresa in cui si sarebbe lanciato Sam Mendes: raccontare i Beatles in quattro pellicole, una per ognuno dei quattro Fab Four, che usciranno nel 2027. Non è chiaro l’ordine, si sa però che nella visione del regista – candidato all’Oscar per ‘American Beauty‘ e ‘1917’ – le vicende personali dei quattro si intrecceranno per dare vita all’epopea della band più famosa della storia. Paul McCartney, Ringo Starr e le famiglie dei defunti John Lennon e George Harrison hanno concesso i diritti anche sulla musica, quindi le colonne sonore saranno sicuramente da 10.
La magia dei biopic continua.