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Elena Cecchettin su Instagram: «Niente stalking a Turetta? Alle istituzioni non importa delle donne, sei vittima solo se sei morta»

Elena Cecchettin su Instagram: «Niente stalking a Turetta? Alle istituzioni non importa delle donne, sei vittima solo se sei morta»


Elena Cecchettin si sfoga dopo la sentenza con la quale Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio della sorella Giulia. E lo fa con una storia sul Instagram dal sapore amaro, criticando sia la decisione dei giudici – che hanno riconosciuto la sola premeditazione come aggravante – sia l’arringa difensiva dell’avvocato di Turetta. «Il non riconoscimento dello stalking (non parlo nemmeno dell’altra aggravante, la crudeltà, perché si commenta da sola la situazione) è un’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne. Sei vittima solo se sei morta», scrive.

Lo sfogo su Instagram

«Quello che subisci in vita te lo gestisci da sola. Quante donne non potranno mettersi in salvo dal loro aguzzino se nemmeno nei casi più palesi non viene riconosciuta una colpa. Però va bene con le frasi melense il 25 novembre e i depliant di spiegazione» aggiunge. «Una sentenza giudiziaria non corrisponde sempre alla realtà dei fatti. Si chiama verità giudiziaria, ed è quello che viene riportato dal verdetto. E basta. Non toglie il dolore, la violenza fisica e psicologica che la vittima ha subito» scrive. «Ciò che è successo non sparisce solo perché un’aggravante non viene contestata, o più di una. E non toglie nemmeno il dolore e l’ansia che ho dovuto subire io personalmente in quanto persona vicina a Giulia. Inevitabilmente le persone intime alla vittima vengono trascinate negli stati di ansia e turbamento. Chiaramente non sto insinuando che il dolore che abbia provato Giulia sia paragonabile, tuttavia è giusto ricordare che il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche alla famiglia della vittima» conclude Elena Cecchettin.

La condanna

Eppure, in ambienti forensi non desta particolare sorpresa l’esclusione delle aggravanti della crudeltà e degli atti persecutori. Quanto alla crudeltà, molti avvocati richiamano una sentenza del 2015 della Corte di Cassazione, che esclude una relazione diretta tra l’aggravante e il numero di colpi inferti alla vittima. Più specificamente – secondo i Supremi giudici – l’aggravante della crudeltà sussiste quando, indipendentemente dal numero dei colpi inferti, si manifesta la volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto a quelle relative all’azione omicidiaria. La Cassazione ha affermato che «nel delitto di omicidio volontario, la mera reiterazione dei colpi inferti (anche con uso di arma bianca) non può determinare la sussistenza dell’aggravante dell’aver agito con crudeltà se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a sé stessa».

«​Il limite numerico»

Nel caso di Giulia Cecchettin, i giudici potrebbero aver valutato che le ripetute coltellate inflitte da Turetta alla vittima fossero tutte finalizzate solo all’omicidio della ragazza, con esclusione, dunque, dell’aggravante, dal momento che – ha ancora osservato la Cassazione – non può stabilirsi «un preciso limite ‘numerico’ dei colpi inferti, oltrepassato il quale l’omicidio può dirsi aggravato dall’aver agito con crudeltà, essendo invece necessario l’esame delle modalità complessive dell’azione». Riguardo allo stalking – giuridicamente «atti persecutori», circostanza aggravante in caso di omicidio volontario e non autonoma figura di reato – i giuristi evidenziano che esso si configura se le condotte persecutorie sono ripetute e provocano nella vittima uno stato permanente di ansia o di paura, tale da indurre la vittima stessa a modificare le proprie abitudini di vita. L’insieme degli elementi raccolti durante le indagini e, da ultimo, la cena consumata insieme da Filippo e Giulia nel locale di un centro commerciale alcune ore prima del delitto dopo aver fatto shopping, potrebbero verosimilmente aver portato i giudici a ritenere insussistenti gli elementi costitutivi degli atti persecutori, con conseguente esclusione dell’aggravante. La decisione della corte, sottolinea il penalista Agron Xhanaj specializzato in casi di stalking, “è stata una scelta obbligata dettata dal contenuto della norma stessa: il delitto di stalking è un reato di evento e non solo di condotta. Ne consegue che la condotta senza l’evento non è punibile».





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